Il fantasma della classe lavoratrice nel cinema

Perché nel cinema di rado la classe lavoratrice viene rappresentata direttamente? Provare a dare una risposta a questa semplice domanda apre la porta a molte e più ampie considerazioni sulla natura del cinema, sulla sua produzione e fruizione, nonché su concetti come quello di intrattenimento

Nonostante in termini numerici rappresenti il pubblico cinematografico più vasto in tutto il mondo, la classe lavoratrice è sistematicamente sottorapresentata nei film. Ciò vale in particolare per il cinema di Hollywood, ma anche, seppure in misura leggermente minore, per quello di altre aree del mondo e addirittura per il cinema politicamente o socialmente impegnato. Tale sottorappresentazione risulta ancora più problematica se si tiene conto del fatto che le dinamiche di classe sono oggi, così come da secoli, uno degli elementi principali delle società di tutto il mondo e uno dei fattori che più incide sulla vita quotidiana sia dei produttori che dei fruitori di cinema. Con questo articolo cerchiamo di tracciare a grandi linee per quali motivi la classe lavoratrice sembra essere un fantasma o, più precisamente, un “personaggio assente” nell’ambito della produzione cinematografica. L’argomento in realtà sarebbe materia per un intero libro e meriterebbe un trattamento più approfondito di quello che è possibile in questa sede. In questa sede ci limitiamo a fornire alcune coordinate di massima in relazione a questo tema, sul quale torneremo nell’ambito di materiali che riguardano opere e situazioni più specifiche.

Sommario

  • Considerazione n. 1: Quasi tutti i film sono prodotti dalla borghesia o da istituzioni da essa egemonizzate
  • Considerazione n. 2: La stessa classe lavoratrice preferisce i film che non la rappresentano direttamente e che le offrono intrattenimento
  • Considerazione n. 3: La classe lavoratrice è molto spesso presente nei film in modo indiretto, come fantasma
  • Considerazione n. 4: Anche nel cinema del “socialismo reale” la rappresentazione della classe lavoratrice non ha avuto successo di pubblico
  • Considerazione n. 5: La rappresentazione della classe lavoratrice pone notevoli limiti narrativi e di messa in scena
  • Considerazione n. 6: La rappresentazione esplicita della classe lavoratrice nei film non è di per se stessa una cosa positiva

Considerazione n. 1: Quasi tutti i film sono prodotti dalla borghesia o da istituzioni da essa egemonizzate

Partiamo da una constatazione molto semplice: il cinema è prodotto ovunque, salvo rarissime eccezioni che confermano la regola, dai capitalisti, cioè dalla borghesia, o da istituzioni create da stati egemonizzati dalla borghesia e che ne tutelano gli interessi. Si tratta di una situazione che riguarda pressoché tutte le forme di produzione cinematografica odierne, da quella dei grandi studios Usa, fino ai casi delle piccole case di produzione indipendenti europee, delle imprese statali cinesi integrate nel sistema capitalista, degli imprenditori “poveri” del cinema nigeriano di Nollywood. A ciò va aggiunto che se non vuole essere un’opera per pochi intimi e socialmente ininfluente, un film deve affidarsi a canali di distribuzione di massa che sono anch’essi saldamente in mano ai capitalisti. Anche i cosiddetti “film d’arte” che non realizzano profitti e circolano nel circuito dei festival rientrano in questa categoria, perché vengono prodotti con il sostegno diretto di istituzioni statali o sovranazionali che sono parte integrante del sistema capitalista globale. La burocrazia di provenienza statale che organizza e sorveglia i festival, così come le iniziative di produzione e distribuzione create da questi ultimi, oltre a lavorare in alleanza con il capitale privato mirano a creare un “valore culturale” che di norma viene monetizzato in termini politici ed economici a sostegno del sistema capitalista. Poiché il principale pericolo per l’egemonia dei capitalisti (della classe borghese) è costituito da una presa di coscienza della classe lavoratrice, ne consegue logicamente che i produttori di Hollywood, i burocrati dei festival e tutti gli altri imprenditori del cinema che abbiamo citato sopra guardino con sfavore a ogni sua rappresentazione o puntino sistematicamente ad anestetizzarla. Inoltre, gli stessi operatori del cinema, come i registi, gli sceneggiatori, i tecnici ecc., sono nella loro stragrande maggioranza di estrazione borghese o piccolo-borghese: il percorso di formazione per giungere a questi ruoli è oggi altamente selettivo, costoso e istituzionalizzato, ed è estremamente difficile che una persona di estrazione proletaria riesca a percorrerlo fino in fondo, a differenza di quanto avviene in altre forme di produzione artistica, come la letteratura e la musica.

Le eccezioni a questo quadro generale sono rare, del tutto marginali in termini di pubblico e spesso anche ibride (si può citare come esempio di una tale eccezione il cinema documentario underground cinese, un cinema povero e autoprodotto, che nelle sue opere rappresenta spesso la classe lavoratrice, ma che per potere avere un pubblico che vada al di là di una manciata di spettatori dipende comunque dal circuito internazionale dei festival). Ci troviamo quindi di fronte a un monolitico e mostruoso moloch che sforna a getto continuo solo prodotti graniticamente classisti? I registi che tanto amiamo sono solo servi del sistema e i film che ci hanno così emozionato non sono nient’altro che spazzatura propinataci da capitalisti oppressori? La risposta non può essere che lapidaria: no. Adottare una tale prospettiva sarebbe riduttivo ed errato. Se infatti già la sfera prettamente politica è sempre molto più complessa degli schemi che adottiamo per cercare di interpretarla, ciò vale ancora di più per la sfera culturale. Per esempio, se questo testo prende le mosse dalla constatazione che il cinema è prodotto quasi sempre dai capitalisti, è solo perché ciò facilita una strutturazione dialettica dei ragionamenti qui contenuti. In realtà, in un’industria culturale sofisticata e di massa come quella del cinema, non vi è un punto di partenza “da zero” della produzione. La decisione stessa di produrre un film, così come le scelte riguardanti le modalità della sua realizzazione, o il contesto della sua distribuzione, sono il frutto di numerosi altri sviluppi precedenti o contemporanei (il successo o l’insuccesso passato di altri film, gli umori del pubblico, l’evoluzione dei trend culturali, la situazione economica e quella sociale ecc.). La produzione dell’industria cinematografica non è lineare, non va da un inizio ex nihilo fino a una conclusione definitiva, ed è invece di natura circolare. I fattori in gioco nella produzione e nella fruizione del film sono quindi multidimensionali e vietano un approccio interpretativo monodirezionale al cinema, come cerchiamo di spiegare qui sotto con alcuni esempi.

Considerazione n. 2: La stessa classe lavoratrice preferisce i film che non la rappresentano direttamente e che le offrono intrattenimento

E’ un fenomeno constatato da molti studiosi, o semplicemente cinefili, che il pubblico appartenente alla classe lavoratrice dà di norma la propria preferenza a film che non la ritraggono e che puntano invece al “semplice” intrattenimento. Si tratta tra l’altro di un fatto che viene spesso utilizzato come argomentazione da chi afferma che ai lavoratori la lotta di classe non interessa per nulla. In effetti le (rare) opere cinematografiche apertamente incentrate sulla rappresentazione della classe lavoratrice o sui conflitti della stessa con le altre classi vengono di solito viste principalmente da un pubblico borghese o piccolo-borghese. Ciò significa che la classe lavoratrice non è in alcun modo interessata alla propria realtà? Che non desidera liberarsi della propria condizione di oppressione? O addirittura che è “stupida”? Naturalmente no, anche in questo caso la realtà è molto più complessa. Innanzitutto la classe lavoratrice conduce una vita dura, ripetitiva, logorante e spesso molto opprimente. E’ del tutto logico che non desideri rivivere tale situazione nelle poche ore di tempo libero di cui dispone. Inoltre, i lavoratori vivono in una situazione di sfruttamento, oppressione e, spesso, anche di subalternità politica e culturale: è comprensibile che vedersela rappresentare direttamente sia molto sgradevole o addirittura troppo doloroso. Tutti motivi che oggi, come in passato, spingono la maggioranza dei lavoratori a preferire in massa il cosiddetto cinema di intrattenimento, sia esso cinema di Hollywood o cinema “popolare” nazionale. Quello di intrattenimento, così come quello a esso parallelo di evasione, è un concetto prettamente moderno e quindi strettamente legato al modo di produzione capitalista. Ma la produzione culturale di intrattenimento non è una macchina infernale inventata dalla borghesia per “fare fessa” la classe lavoratrice. Anzi, le sue radici vanno individuate proprio nella storia della classe operaia. Come spiega uno dei più attenti esperti in materia, Richard Dyer, l’intrattenimento odierno “deriva la sua forma caratteristica […] dallo sviluppo delle attività di intrattenimento nei pub e nei club frequentati abitualmente dalla classe operaia urbana. In questa forma, ovviamente, sono state veicolate tradizioni consolidate del divertimento borghese come  l’operetta, la commedia musicale, le canzoni da salotto, che hanno portato a un ingentilimento o a un abbellimento (e a volte a un infiacchimento) di questa forma, senza tuttavia domarla”. Per comprendere meglio il contesto del concetto di intrattenimento, vale la pena di citare ancora Dyer: “L’intrattenimento è inoltre parte del ‘tempo libero’. Quest’ultimo è un concetto specificamente moderno. […] Il tempo libero e l’intrattenimento sono separati dal lavoro e dalle cure domestiche, nonché in opposizione agli stessi. Il tempo libero va inoltre considerato come creazione di significato in un mondo in cui il lavoro e le occupazioni quotidiane sono caratterizzate da fatica, ripetitività e mancanza di significato. L’intrattenimento è un aspetto di questo tempo libero. E’ qualcosa che viene fornito e che viene pagato, e in ciò è differente da attività come conversare, dedicarsi a hobby, fare sesso o impegnarsi in un gioco. […] Nel corso del tempo l’intrattenimento è stato sempre più identificato con ciò che non è arte, non è serio, non è raffinato. Si tratta di una distinzione che permane ancora oggi – l’arte è edificante, elitaria, raffinata, difficile, mentre l’intrattenimento è edonistico, democratico, volgare, facile. Che questa distinzione sia dannosa e come minimo falsa, sia in riferimento a quella che viene definita arte sia in riferimento a quello che viene chiamato intrattenimento, lo hanno osservato in molti. Ma ciò non toglie che sia parte integrante del nostro patrimonio educativo”. L’intrattenimento, quindi, è un’area vitale del patrimonio culturale della classe lavoratrice, non un corpo estraneo studiato a tavolino per dominarla, altrimenti difficilmente troverebbe tanto spazio tra le sue fila. L’intrattenimento inoltre ha una forte dimensione utopica: consente di accedere a uno spazio “altro” in cui, per esempio, è possibile vivere l’esperienza di essere pienamente padroni del proprio destino, di applicare liberamente le proprie forze, di ridere a pieni polmoni per la felicità e di abbandonarsi apertamente al pianto per solidarietà con chi è infelice. Non a caso come sinonimo di intrattenimento viene usato spesso il termine “evasione” (“andare fuori”). Purtroppo si tratta di un termine che, forse ancora più spesso di “intrattenimento”, viene impiegato in accezione negativa, sia tra chi è portatore di una cultura conservatrice sia tra chi altrimenti si proclama progressista o di sinistra. “Evasione” porta immediatamente alla mente, in realtà, una fuga non da un mondo di pienezza e libertà, bensì da un carcere o comunque da una situazione di costrizione. Condannare un prodotto culturale solo perché è “di pura evasione” è quindi immotivato e sbagliato. Casomai bisognerebbe criticare i prodotti culturali che fanno finta di essere “di pura evasione”, ma in realtà non lo sono e tendono a ingabbiare invece i loro fruitori in una nuova sfera di costrizione culturale. Nel mondo reale del cinema è ciò che accade non di rado, sebbene il più delle volte si abbia invece la presenza contemporanea di elementi di evasione, in senso positivo, e di costrizione, in senso naturalmente negativo. Quanto abbiamo sopra esposto spiega sia perché l’intrattenimento gode di tale popolarità tra la classe lavoratrice, sia perché lo stesso ha un’insita potenzialità liberatoria.

monicelli compagni

Considerazione n. 3: La classe lavoratrice è molto spesso presente nei film in modo indiretto, come fantasma

I film, come ogni prodotto dell’industria culturale, non sono un monologo in cui un soggetto (un regista, un produttore, o il collettivo che lo realizza) si rivolge a uno spettatore che assimila il prodotto propostogli senza intervenire in alcun modo nella sua interpretazione e quindi nel suo successo ultimo, in termini sia economici sia di diffusione e influenza dell’opera. Già nella fase di pianificazione del film si ha un approccio interlocutorio, come abbiamo già osservato. I produttori, che devono vendere il loro prodotto a un pubblico di massa per ottenere un profitto o realizzare comunque un valore culturale monetizzabile in altro modo, si pongono la domanda di come cercare di soddisfare determinate esigenze di tale pubblico, conciliandole però con i propri obiettivi economici e ideologici. Lo spettatore, che è allo stesso tempo un soggetto sia collettivo che individuale (essendo allo stesso tempo sia pubblico di massa che singola persona), interpreta a proprio modo ciò che gli viene proposto. Vi è quindi un processo di negoziazione tra produttori e pubblico. Non è un caso che la produzione di film, che muove enormi masse di denaro, venga  considerata come una delle forme di investimento più rischiose e i cui esiti finanziari sono meno prevedibili. Il processo che abbiamo descritto, tuttavia, non è affatto “democratico”, poiché i produttori, grazie al controllo dei capitali necessari per la produzione e la distribuzione, vi svolgono un ruolo dominante. Il pubblico ha due sole armi: disertare le sale o alterare il contesto sociale e culturale al quale i produttori devono necessariamente fare riferimento.

Da queste premesse consegue che i produttori comunque non possono astenersi sistematicamente dal rappresentare in qualche modo la classe lavoratrice, i suoi bisogni, le sue aspirazioni e il conflitto di classe, essendo tale classe lavoratrice di gran lunga il suo pubblico più vasto. Poiché, per i motivi esposti sopra, una sua rappresentazione diretta è indesiderabile per i produttori e, nella situazione data, rischia di essere sgradita alla stessa classe lavoratrice, l’opera cinematografica di norma percorre vie traverse. Nel cinema moderno, per esempio, la classe lavoratrice viene il più delle volte sostituita con la “classe media”, che non esiste come gruppo sociale effettivo nella realtà ed è un concetto che si basa su elementi puramente statistici (fascia di reddito) o sul raggruppamento arbitrario di categorie professionali tra loro disomogenee (per es. negozianti + manager + operai qualificati e così via). Il pubblico appartenente alla classe lavoratrice di solito accetta questa rappresentazione perché gli offre l’illusione di appartenere a una classe non oppressa (e quindi questa “bugia” non è unidimensionalmente negativa, visto che ha in parte anche una carica utopica). La rappresentazione della classe lavoratrice può inoltre essere incarnata in soggetti da essa ben diversi a seconda del contesto tematico del singolo film: per esempio un piccolo imprenditore in difficoltà angariato dai creditori, un manager di medio livello sottoposto a ritmi massacranti da un suo superiore, ma anche una donna borghese che lotta per emanciparsi da un sistema maschilista chiuso e oppressivo. Oppure può evidenziarsi soprattutto nell’uso di un linguaggio popolare, gergale o “basso”, come avveniva per esempio nelle commedie romantiche e nei film noir dell’epoca classica di Hollywood. In alcuni casi la presenza del “fantasma” della classe lavoratrice è rintracciabile solo nelle ambientazioni: quartieri periferici tipicamente operai, anonimi edifici per uffici in cui lavorano masse di impiegati e così via. Vi sono inoltre svariati dispositivi per anestetizzare ogni eventuale presenza della classe lavoratrice, più o meno mascherata che sia. Quello più classico è il lieto fine conciliante. Per esempio, il negoziante riesce infine a pagare i creditori e torna a collaborare con loro, il manager scopre che il suo superiore cattivo in realtà è buono e attraversava solo un periodo di difficoltà personale che infine supera con il suo aiuto, la donna borghese sposa un uomo di vedute progressiste e ottiene così un limitato e paternalista miglioramento della propria situazione. Ma anche un finale tragico può essere anestetizzante, se tende a significare che ribellarsi o sognare un mondo diverso è inutile e tutto deve rimanere come prima. A volte vi è la presenza di uno o più personaggi chiaramente appartenenti alla classe lavoratrice, ma in posizione di gregari rispetto a un eroe al quale fanno solo da supporto, e in questi casi molto spesso muoiono o scompaiono dalla narrazione prima della fine. A complicare ulteriormente il quadro vi è il fatto che, come ha spiegato efficacemente il già citato Dyer, il cinema è costituito non solo da segni che rappresentano direttamente qualcosa (cioè, per esempio, la trama, i personaggi, le ambientazioni ecc.), ma anche da segni che si rivolgono alla nostra sensibilità senza rappresentare alcunché di concreto (per es. il ritmo del film, la gestione dello spazio filmico, le combinazioni cromatiche ecc.). Questi ultimi non sono solo ornamenti o accessori dei primi, bensì a pieno titolo elementi costitutivi del film. Nei film dell’ungherese Miklos Jancso, per esempio, il conflitto di classe viene rappresentato nell’orchestrazione del movimento. E se Jancso era un regista politicamente impegnato, non lo era il regista cinese King Hu, nei cui film la lotta di classe è però altrettanto leggibile (“si sente”) nell’organizzazione dello spazio filmico e nell’impianto sonoro. Classe lavoratrice e lotta di classe sono quindi ampiamente presenti nel cinema, forse addirittura nella maggior parte dei film, ma la regola generale è che se sono presenti lo sono in forma di fantasma.

Considerazione n. 4: Anche nel cinema del “socialismo reale” la rappresentazione della classe lavoratrice non ha avuto successo di pubblico

A questo punto viene spontaneo chiedersi come venisse affrontata la rappresentazione della classe lavoratrice nel cinema dei paesi del cosiddetto “socialismo reale” nei quali i lavoratori erano al potere, sebbene solo a parole, e i mezzi di produzione non erano nelle mani del capitale privato. In realtà, nel socialismo reale la classe lavoratrice ha vissuto in condizioni altrettanto, e sotto svariati aspetti ancor più, oppressive che in molti dei contemporanei regimi capitalisti. Non è quindi un caso che al suo cinema possano in larga parte essere applicate le stesse considerazioni riportate sopra per il cinema dei paesi capitalisti. Il cinema del socialismo reale, sia per motivi ideologici sia per il fatto che nelle rispettive società la classe capitalista borghese era stata eliminata, ha dato sicuramente maggiore spazio, sebbene a fasi alterne, alla rappresentazione della classe lavoratrice. Sarebbe però errato ritenere che tale rappresentazione vi fosse soverchiante: nel complesso, altrettanto spazio vi hanno avuto il puro intrattenimento, i film incentrati su personaggi non facenti parte della classe operaia, le ricostruzioni storiche di epoche remote e così via. Rimane il fatto che anche in questi paesi il pubblico ha di norma premiato queste ultime tipologie di film rispetto a quelle imperniate sulla rappresentazione diretta della classe lavoratrice. E nei periodi in cui ne ha avuto la possibilità è regolarmente corso in massa a vedere film “di pura evasione” prodotti a Hollywood o nell’Europa Occidentale. Questi fenomeni non vanno però interpretati in maniera affrettata e necessitano di alcune precisazioni. Innanzitutto la censura politica ha creato ostacoli enormi allo sviluppo di un cinema popolare locale che tenesse conto delle esigenze del pubblico. I tentativi di muoversi in una tale direzione hanno sempre avuto una vita troppo breve per potersi sviluppare adeguatamente. Anche quando non li hanno vietati o completamente stravolti, gli interventi censori della burocrazia hanno molto spesso alterato i film in fase di produzione inserendovi elementi indigeribili. Nel corso della durata complessiva dell’esperienza del socialismo reale, questi regimi burocratici hanno temuto ancor più dei film di “puro intrattenimento” le rappresentazioni non ortodosse della classe lavoratrice che rischiavano di mettere in discussione la loro autorità, prendendole quindi sistematicamente di mira con interventi censori. In questa prospettiva, il fatto che i film incentrati sulla rappresentazione della classe lavoratrice non abbiano incontrato in genere un grande successo nei paesi del socialismo reale va interpretato in base a criteri analoghi a quelli già citati sopra per la società capitalista. Difficilmente i lavoratori del socialismo reale, dopo una logorante giornata di lavoro, potevano apprezzare nel loro limitato tempo libero opere che li rappresentavano il più delle volte attraverso personaggi che agivano in modo meccanico, mediante trame ripetitive che apparivano sfornate da una catena di montaggio e con messe in scena che “trasudavano burocrazia”. Nel periodo in cui la produzione dei paesi del socialismo reale ha puntato maggiormente su film di questo tipo, cioè all’incirca tra la fine della seconda guerra mondiale e la metà degli anni cinquanta, si è registrato un tracollo verticale di pubblico, tanto che i rispettivi regimi hanno dovuto modificare radicalmente le loro modalità di produzione e aprire a una maggiore libertà creativa. Solo in tempi recenti gli studiosi di cinema del socialismo reale hanno cominciato a occuparsi di aspetti come i gusti del pubblico, i generi popolari, il successo o meno dei film al botteghino. Con ogni probabilità negli anni a venire sarà possibile avere un quadro più completo e preciso su questi aspetti.

Aleksej Stakhanov

Considerazione n. 5: La rappresentazione della classe lavoratrice pone notevoli limiti narrativi e di messa in scena

Vi è un altro motivo, di natura più prettamente tecnica, per cui la classe lavoratrice nella maggior parte dei film non viene rappresentata direttamente. I lavoratori in genere svolgono attività ripetitive, sono vincolati a orari rigidi e nel loro limitato tempo extralavorativo devono svolgere altre attività ripetitive (cure domestiche, fare la spesa ecc.). Ne consegue che come soggetti non offrono una sufficiente flessibilità per imbastire una trama o una messa in scena accattivante. Per questo motivo proliferano i film in cui gli eroi sono borghesi (dal rentier fino al grande industriale), piccolo borghesi (con una decisa sovrarappresentazione dei liberi professionisti, dai detective fino agli ingegnieri) o persone che vivono di criminalità (siano esse sottoproletari o ricchi mafiosi). Una figura di lavoratore ricorrente è invece quella del poliziotto. Ma poiché per il pubblico appartenente alla classe lavoratrice è una figura poco gradita nella sua funzione prevalente, cioè quella di addetto alla sorveglianza e alla repressione quotidiana, molto spesso si tratta di poliziotti atipici: in pensione, retrocessi nella gerarchia perché entrati in conflitto con i loro dirigenti, appartenenti a ipertecnologizzate squadre speciali e così via. E a tale proposito va ricordata una figura che con la classe lavoratrice ha poco da spartire, ma che può incarnarne le pulsioni, quella del gangster: è ormai stato ampiamente rilevato da una serie di studi che l’enorme successo di cui ha goduto il genere del gangster film in un periodo di intensa e aperta lotta di classe come quello degli anni trenta del secolo scorso è dovuto al fatto che ritraeva personaggi che realizzano una rapida ascesa sociale lottando contro l’ordine costituito utilizzando la violenza, per godersi appieno la vita (potere e beni materiali), tutti obiettivi attivamente perseguiti dalla classe lavoratrice di allora. Non è quindi un caso che in questi film l’eroe alla fine venisse punito senza alcun compromesso o riconciliazione. Va infine osservato che frequentemente, quando vengono rappresentati, i lavoratori si trovano in situazioni anomale: per esempio sono in sciopero, oppure stanno attraversando un periodo di disoccupazione. Negli anni più recenti molto spesso il lavoratore è un precario. La scelta di ritrarre queste situazioni è certo dettata, tra le altre cose, anche da intenti realistici o di denuncia, ma indubbiamente ha un peso non trascurabile anche il fatto che in tali situazioni il lavoratore gode di maggiore libertà di movimento e di più tempo libero, con la conseguenza che la sua figura offre maggiore spazio di manovra ai cineasti e risulta più appetibile per il pubblico.

coup pour coup

Considerazione n. 6: La rappresentazione esplicita della classe lavoratrice nei film non è di per se stessa una cosa positiva

La rarità dei film che rappresentano la classe lavoratrice fa sì che i film esplicitamente incentrati sulle sue esperienze suscitino uno speciale interesse tra coloro che leggono il cinema anche in chiave politica. Tuttavia, tale rappresentazione non è un valore in sé. Abbiamo già visto come nel cinema del periodo stalinista essa fosse direttamente uno strumento di oppressione e asservimento della classe operaia e come il cinema di intrattenimento che evita di ritrarla sia invece passibile di offrirle una carica utopica e liberatoria. La sua presenza come fantasma attraverso, per esempio, la raffigurazione della cosiddetta “classe media” o i movimenti della macchina da presa e degli attori nello spazio, può a volte offrire spunti di riflessione molto più ricchi rispetto a una sua rappresentazione diretta e realistica. Il circuito internazionale dei festival è oggi l’ambito in cui più frequentemente che in altri vengono prodotti e/o distribuiti film che rappresentano direttamente esperienze e contesti della classe lavoratrice. Molto spesso però questi film offrono visioni consolatorie rispetto alle sue condizioni, oppure esibiscono superficialmente un “attivismo sociale”, ingabbiandolo però in soluzioni narrative ed estetiche profondamente conservatrici e di stampo borghese. In realtà, un blockbuster di Hollywood realizzato in modo intelligente può apportare un contributo molto più ricco alle riflessioni sulle condizioni della classe lavoratrice di un film socialmente impegnato che la rappresenta direttamente, ma è realizzato in modo piatto e anestetizzante. Il fatto che il cinema socialmente impegnato che rappresenta la classe lavoratrice sia di norma un cinema realizzato da borghesi esplicitamente per un pubblico (piccolo) borghese, come avviene nel circuito dei festival, incide indubbiamente sulla fattura di tali film. Ma anche in questo caso bisogna evitare le conclusioni superficiali e liquidatorie. La sfera culturale è altamente dialettica e permeabile, da una parte, e nessun film è monoliticamente “brutto”, “inutile” o “reazionario”, dall’altra. Può apparire come tale in un’epoca, per esempio, ma offrire spunti interessanti prima trascurati in un’altra. Può trasmettere prevalentemente messaggi o sensazioni di natura conservatrice, ma contenere al contempo in sé anche elementi liberatori, magari non intenzionali. Film innovativi possono inizialmente circolare solo nell’ambito ristretto dei “film d’arte” destinati a un limitato pubblico borghese, ma possono poi nel tempo incidere sulla produzione “popolare” più ampia. Per esempio, la nouvelle vague francese degli anni ’50-’60 del secolo scorso, le cui opere si rivolgevano a un pubblico di intellettuali, ha influito in modo decisivo sul cinema indipendente americano che vi ha fatto seguito e che godeva di un pubblico maggiormente di massa, e i film indipendenti americani degli anni ’60 e ’70 hanno a loro volta cambiato il modo di fare cinema di Hollywood, ivi incluso per quanto riguarda l’attuale produzione di blockbuster.

Il cinema, naturalmente, non può essere analizzato solo nella prospettiva della lotta di classe. In esso vi hanno altrettanto peso innumerevoli altre dimensioni, da quella individuale, a quella dell’appartenenza di genere o nazionale, a quella estetica, a quella psicologica e così via. Ci sembra però che il solo fatto che l’affrontare il tema della (non) rappresentazione della classe lavoratrice nel cinema apra le porte a tante considerazioni sia una dimostrazione della sua imprescindibile rilevanza.